Don Milani e la pedagogia del dialogo e della parola

In questa nuova lezione tratterò l’argomento di un grande pedagogista italiano; parleremo infatti di Don Milani, che nasce nel 1923 a Firenze da una famiglia piuttosto abbiente, seguì degli studi classici e maturò presto l’interesse per l’arte sacra. Durante la seconda guerra mondiale si consacra al sacerdozio e poi proprio per vocazione personale decide di dedicare la sua intera vita all’educazione popolare.

Infatti nel 1947 istituisce la sua prima scuola popolare, che era una scuola serale a San Donato nei pressi di Prato, ma poi nel 1954 si trasferisce nel Mugello, per la precisione a Barbiana, che era un posto un pochino isolato e sente proprio la necessità di portare cultura a tutte le persone che vivono in questo posto. Quindi proprio qui a Barbiana istituisce una seconda scuola popolare, che aveva anche il doposcuola per i bambini delle scuole elementari e nel 1956 trasforma questa scuola in un avviamento industriale, che è un po’ il seguito del diploma che si prende alle elementari.

Passa la sua vita dedicandola proprio ai ragazzi, alla scuola e alla cultura.

Muore molto giovane nel 1967 alla sola età di 44 anni per una malattia.

Don Milani fa parte di un filone della pedagogia, della quale fanno parte anche altri pedagogisti, basato proprio sul dialogo e sulla parola che parte dal presupposto che la cosa importante per ogni essere umano, e quindi in primis per i bambini e per i ragazzi, sono proprio le interazioni interpersonali e quindi la nascita e lo sviluppo del dialogo e della parola derivano da concezioni più filosofiche sull’essere umano piuttosto che psicoanalitiche.

Infatti per questi pedagogisti non basta creare condizioni favorevoli alla crescita dell’individuo e liberarne il potenziale individuale, ma invece bisogna partire dalla convinzione che ogni essere umano(un bambino, un uomo) non è dotato di quelle capacità che lo possono aiutare a diventare un essere adulto compiuto e razionale, ma necessita di relazioni umane che lo aiutino a fare esperienza continua e sensata di quello che è il mondo reale che lo circonda.

Si nasce quindi bisognosi di cure e ciò implica il fatto che sia fondamentale per ogni essere umano avere delle relazioni sicure, avere delle relazioni importanti e positive con gli altri che ci aiutino a prenderci cura di noi e ci aiutino a crescere insieme facendo esperienza del mondo.

Per questi pedagogisti la relazione diventa infatti un vero e proprio evento, un processo che si costruisce nel tempo e attraverso il quale si superano le barriere sia dell’individualismo che del collettivismo. Collettivismo nel senso di essere visti semplicemente come un tassello di una società precostituita e superando quindi questi due limiti valorizza quello che è l’incontro e il reciproco aiuto tra le persone.

Quindi per Don Milani, che si inserisce perfettamente in questo contesto di pedagogisti del dialogo e della parola, la scuola popolare diventa il mezzo attraverso il quale in primis far conoscere un messaggio religioso, ma con il tempo diventa una vera e propria sorta di battaglia per difendere i diritti di tutti, il diritto all’istruzione per le persone più povere, che è sancito dalla costituzione ma che era stato fino ad allora messo veramente poco in pratica.

Alla base della concezione pedagogica di Don Milani c’è proprio l’utilizzo della parola, cioè il diventare padroni della parola in modo tale da potersela cavare in tutte le situazioni. Infatti la relazione tra l’io e l’altro secondo Don Milani non esisterebbe senza il corretto uso della parola e il possesso di essa trasforma l’individuo in un vero e proprio essere umano, la parola diventa uno strumento fondamentale e ha una doppia valenza, da una parte aiuta a vincere e sconfiggere la suprema malattia dell’io e quindi l’egoismo e la solitudine e dall’altra invece diventa lo strumento attraverso il quale ognuno si può inserire in maniera attiva e proattiva all’interno del proprio contesto sociale.

Per Don Milani la scuola diventa proprio il luogo di aggregazione dove poter dare la parola a tutti, dove anche le persone facenti parte dei ceti più disagiati possono esprimere la propria opinione, possono uscire quindi dalla loro marginalità e possono avere quegli strumenti che li aiutino proprio a comprendere il vero senso della vita. Non si tratta di una scuola né facile né disimpegnata tanto è vero che non ci sono né ricreazione né giochi; la scuola diventa molto seria e il leader deve essere indiscusso; però rispetto alla scuola pubblica supera dei limiti, come quello di essere bocciati e quindi di non ritrovarsi l’anno successivo a ripetere sempre le stesse cose.

Come dicevo prima la conoscenza della lingua diventa fondamentale e come strumento per conoscere la vita e come strumento per muoversi nel tessuto sociale e anche come strumento per cavarsela nelle varie situazioni.

Per quanto riguarda la scrittura secondo l’autore è tanto importante quanto la lingua parlata, quindi è importante scrivere come si parla: questo perché secondo Don Milani proprio per il fatto che anche le persone alfabetizzate potrebbero non comprendere dei documenti scritti o dei cavilli è molto importante imparare ad avere una dimestichezza nella scrittura come quando si parla.

Quindi un aspetto molto importante della didattica di Don Milani è proprio l’arte dello scrivere che si divideva in due momenti principali: il primo è il momento della preparazione nel quale tutti insieme si sceglieva l’argomento da trattare, si organizzava il discorso e poi si passava alla stesura scritta, soprattutto per la stesura delle lettere che Don Milani poi organizzava e scriveva da inviare al mondo esterno.

Poi c’era il secondo momento, che era quello della discussione che poteva addirittura durare dei mesi e consisteva nel rileggere tutto, nel ripulire da tutte quelle parti considerate inutili e poi fare una revisione finale prima dell’invio.

Con questa metodologia saranno scritte moltissime lettere; probabilmente la più famosa e più discussa è “lettera a una professoressa”; in questa discussa opera di Don Milani, molto critica con gli insegnanti della scuola pubblica, la professoressa è un po’ l’emblema proprio dell’insegnante burocrate, cioè di quell’insegnante che non si preoccupa degli alunni socialmente e culturalmente più svantaggiati, dell’insegnante cieco che non vede quelle che sono le richieste dei bambini che sono un pochino più indietro, le richieste di aiuto di questi bambini che vedono leso il proprio diritto allo studio semplicemente perché non rispecchiano perfettamente gli standard richiesti e dell’insegnante indifferente a quelle che sono le necessità concrete della classe.

Come dicevo prima la didattica di Don Milani rientra quindi nella categoria del dialogo e delle parole, ma anche nella categoria della didattica della povertà dove si guarda all’esistenza, si dà importanza alle relazioni, si dà importanza al gruppo, si dà importanza a come il gruppo interagisce e come si relazionano tra di loro le persone facenti parte del gruppo e soprattutto il rifiuto totale della pedagogia accademica che vedeva invece una scuola molto formale, semplicemente basata sulle bocciature e sui voti quindi sulla ripetizione degli anni scolastici e su dei programmi predefiniti.

Qui non c’erano programmi, si partiva sempre dall’esperienza del singolo, dall’esperienza del gruppo e da lì poi nascevano i gruppi di discussione per fare scuola, dando anche rilievo a quelle che erano poi le questioni importanti per tutti gli alunni e in relazione non soltanto con l’ambiente scolastico, ma anche con l’ambiente di vita quotidiana con il quale interagivano continuamente.