La formazione in età adulta

Con questa nuova lezione di pedagogia oggi concludiamo il discorso iniziato già l’altra volta sulla pedagogia e la scuola di massa e cerchiamo appunto di concluderlo analizzando nello specifico quelle che sono state le politiche europee che abbracciano tutto l’arco della vita.

La formazione in età adulta, cioè oltre la scuola, ha diverse finalità, tra cui la prima è quella di rimanere sempre connessi con il mondo attuale e quindi anche al passo con i tempi e con la tecnologia che avanza continuamente. Il secondo punto è quello di promuovere mentalità anche disposte a cambiare lavoro nel corso del tempo e di conseguenza a migliorare quelle che sono le competenze nel proprio lavoro. Il terzo è quello di favorire ad ogni età la voglia di apprendere, di migliorarsi sempre e di aggiornarsi senza finire poi vittime di quelli che sono i luoghi comuni e gli stereotipi.

Il primo passo verso questa direzione, come vi dicevo già l’altra volta, è stato fatto intorno agli anni 50 e 60 in concomitanza con il boom economico e quindi non solo un’alfabetizzazione minima, ma proprio un indirizzare le persone verso un’integrazione a quelli che sono stati i progressi tecnologici ed economici del tempo. Quindi l’obiettivo diventa quello di integrarsi in un mondo tecnologico, in un mondo sociale ed economico nuovo che, proprio perché la tecnologia cambia continuamente, necessita di aggiornamenti continui e di conoscenze sempre aggiornate. Si supera presto questo concetto in favore di quello di educazione permanente e cioè si affianca la visione funzionalistica dell’alfabetizzazione una funzione umanistica che si basa su tre presupposti fondamentali: il primo è quello di rivedere costantemente le proprie conoscenze, il secondo è quello di ripensare alle proprie esperienze, il terzo è quello di stabilire nuove relazioni con le persone. Proprio per andare incontro a questa visione umanistica il Consiglio d’Europa nel 1973 si riunisce ed ipotizza un vero e proprio ponte tra il sistema scolastico e la formazione per gli adulti alternando quindi momenti di studio a momenti di lavoro per combattere quelli che sono i sistemi chiusi cioè mettere in comunicazione gli studenti con il mondo del lavoro e ci aiuta quindi a far emergere fin dai più giovani quelle che sono le vocazioni personali, quelle che sono le proprie attitudini e quelle che sono poi in realtà le prospettive professionali.

Altri studi fatti negli anni settanta in questa direzione portano alla costruzione di un modello fatto con tre tipologie d’intervento: una formale, una non formale e una informale.

Quella formale è portare il titolo di studio a qualsiasi età, cioè a qualsiasi età si ha la possibilità di raggiungere qualsiasi tipo di studio la persona voglia raggiungere. Quella non formale  è quella finalizzata all’acquisizione di competenze legate al titolo di studio già preso e quella informale è quella per rispondere ai bisogni e agli interessi del singolo, cioè la persona che decide ad esempio di seguire un corso per passione.

Verso la fine degli anni 70 si costruisce un modello meno addestrativo anche nel lavoro, ma più finalizzato alla formazione e al problem solving cioè atto a preparare persone che, lavorando in un gruppo, siano in grado di interagire tra di loro per trovare la soluzione a problemi riportati. Ciò implica la richiesta di base di competenze più complesse e si riscoprono anche la dimensione affettivo-relazionale e quella umana, perché all’interno di un gruppo ognuno deve fare la sua parte per raggiungere poi l’obiettivo tutti insieme.

Quindi ognuno è responsabile di quello che fa anche ai fini dell’obiettivo finale del gruppo; però fa comunque parte di un gruppo e quindi ha tutti i diritti che ne deriva proprio il far parte di un gruppo e grazie a questo modello anche l’individuo si sente veramente parte dell’impresa per la quale lavora, si sente di poter dare veramente il suo contributo perché è parte attiva.

In studi più recenti negli anni 90 Wenger ha elaborato la teoria dell’apprendimento comune che è praticamente una sorta di comunità di pratica dove un gruppo di persone con i medesimi interessi vengono coinvolte in problemi più o meno analoghi e tutte le persone apprendono attraverso lo scambio dei dati e lo scambio delle esperienze avute anche durante il lavoro.

Altri studiosi come l’americano Mezirow si sono occupati della formazione in età adulta, non tanto nell’ottica della professione, ma molto di più allo scopo di promuovere delle persone della domanda piuttosto che persone della risposta. Che differenza c’è tra le due categorie? Le persone della domanda sono persone che vivono e sanno vivere appieno la propria condizione di adulto e di anziano, si interrogano continuamente e senza sosta, si pongono domande sul sull’oggi e sul domani e si sanno accostare al nuovo senza rimpiangere il passato, cioè senza avere nostalgia del vecchio e sanno riscrivere la propria biografia giorno per giorno, senza rimanere ancorati al passato. Le persone della risposta sono le persone che hanno bisogno di conferme continue, hanno bisogno di certezze, hanno bisogno di risposte costanti nel momento in cui le hanno, si sentono ricche ed equipaggiate; nel momento in cui invece non hanno queste risposte, questi feedback e queste certezze si sentono persi e quindi l’autore punta molto sulle persone della domanda.

La formazione in età adulta oggi invece prevede quattro grandi categorie.

La prima è la formazione professionale, la seconda è la formazione elettiva, la terza è la formazione creativa e la quarta e la formazione tecnologica.

La formazione professionale è quella spesso richiesta dall’azienda, in quanto l’azienda stessa necessita che i propri dipendenti si tecnologizzino, quindi le motivazioni personali del dipendente coincidono con la crescita per l’azienda, ma coincidono anche con l’avanzamento di carriera in vista di un ritorno economico per il singolo.

La formazione elettiva invece riguarda le scelte delle persone in maniera autonoma dal lavoro, non hanno finalità lavorative, ma sono hobby e interessi specifici per evadere dal lavoro e per avere più cose da fare nel momento in cui per esempio si andrà in pensione.

La formazione creativa è quella che segue gli interessi delle persone e porta all’autoformazione sempre e su base elettiva come quella precedente, però senza avvalersi di strutture o di corsi organizzati. 

La formazione tecnologica è quella finalizzata ad utilizzare meglio il pc, le nuove applicazioni e la ricerca in rete; può essere fatta tramite un arricchimento personale e quindi da soli oppure con dei corsi specifici. Qualunque sia la motivazione che spinge un adulto ad entrare in formazione o a curare una formazione professionale post scolastica e quindi in età adulta, il suo atteggiamento cambia, non è più quello dello studente sui banchi di scuola e ha delle peculiarità molto diverse.

E’ interessante però da un punto di vista pedagogico cercare di capire come cambia questo approccio degli adulti che in qualche modo si rimettono in discussione che quindi decidono di continuare a formarsi e non saranno più dei semplici destinatari di queste informazioni, ma dei veri e propri protagonisti, perché scelgono di entrare in questo mondo della formazione senza subirla.

La prima peculiarità è sicuramente il bisogno di considerarsi degli adulti e non dei minori in quanto saranno capaci di autovalutarsi, cioè di porsi un obiettivo e di riuscire a raggiungerlo; nel momento in cui si raggiunge l’obiettivo saranno anche capaci di darsi un’autovalutazione, in pratica se si è stati all’altezza delle proprie aspettative.

Un’altra peculiarità è che il formatore non è più visto come un superiore, ma è visto come un pari col quale dialogare, col quale confrontarsi e col quale crescere insieme, scambiandosi delle idee, scambiandosi anche nella fase progettuale delle perplessità, dei dubbi fino ad arrivare poi al risultato finale.

Un’altra peculiarità molto interessante è sicuramente quella di sperimentare cose inedite. L’adulto si sente sempre protagonista della propria storia e anche delle proprie conoscenze e poi, ultimo ma non ultimo, anche l’aspettativa di vivere un futuro fatto di maggiore progettualità, cioè di non vivere un futuro passivo, ma di vivere il futuro veramente da protagonisti, quindi avere quegli strumenti per poter poi gestire e costruire il proprio futuro in base alle proprie aspettative, in base alla proprie propensioni alle proprie attitudini e per realizzare quindi le proprie progettualità in maniera serena, ma anche in maniera vincente.

Quali sono quindi le caratteristiche che deve avere un buon formatore per aiutare veramente a formare gli adulti che si affidano a lui? La prima è sicuramente che deve avere un buon ascolto per entrare veramente nella biografia dell’adulto con cui ha a che fare e per rispettarne i bisogni e i tempi. La capacità di negoziazione che costituisce il punto di incontro tra le conoscenze passate e quelle in corso di progetto e la dimensione creativa, che rappresenta la base per instaurare un buon rapporto interpersonale.