Watson: il comportamentismo e l’apprendimento

In questo video è illustrato il pensiero di Watson, la fine della diatriba tra strutturalismo e funzionalismo, la nascita del comportamentismo, gli studi di Pavlov con il condizionamento, gli esperimenti di Watson, il caso del piccolo Albert, e lo stile educativo basato sul condizionamento. Nelle note aggiungo delle specifiche: Pavlov chiama il cibo “stimolo incondizionato”, la salivazione da esso provocata la “risposta incondizionata”, il suono del campanello “stimolo condizionato” perchè suscita la risposta solo a “condizione” di essere associato al cibo, e “risposta condizionata” la salivazione da esso indotta.

 

Oggi mi occuperò di analizzare il pensiero di un grande psicologo statunitense, Watson, che è stato il padre del comportamentismo.

Il comportamentismo è una corrente di pensiero che si avvale del metodo osservativo per studiare la correlazione che vi è tra individuo e ambiente.

Negli Stati Uniti fino a che Watson non fondò questa corrente di pensiero del comportamentismo vi erano due correnti di pensiero psicologico che avevano preso piede, da una parte vi era lo strutturalismo e dall’altra il funzionalismo.

Lo strutturalismo, lo dice la parola stessa, vede la mente come una struttura chimica scomponibile in elementi più semplici, è un po’ come ogni molecola che si può scomporre in tanti atomi, mentre il funzionalismo paragona l’attività mentale a un fiume che scorre in piena e quindi non può essere scomposta in elementi più piccoli

e studia i processi psichici come strumenti che utilizza l’uomo per adattarsi in qualche modo all’ambiente che lo circonda.

Quindi questo confronto, questa diatriba aperta tra strutturalismo e funzionalismo viene in qualche modo interrotta da questa nuova corrente di pensiero che fonda il nostro protagonista di oggi e quindi Watson, con la nascita del comportamentismo.

Nel 1913 uscì il saggio di Watson “la psicologia come la vede il comportamentista”, che delineava gli aspetti di questo approccio nuovo.

Il comportamentismo infatti abbandona ogni ricerca sulla mente, ogni ricerca su quelle che sono le componenti della mente, ecc., ma analizza soltanto i comportamenti che si possono osservare e quindi assume come oggetto di indagine proprio il comportamento, cioè qualcosa che è empiricamente visibile, che è osservabile e che è misurabile, contrapponendosi quindi a tutte quelle correnti che invece sono più introspettive che vanno ad analizzare gli stati mentali, le pulsioni, ecc. a favore invece dell’analisi dei  comportamenti dell’uomo come risposte agli stimoli che provengono dall’ambiente.

In ambito pedagogico poi questo approccio si traduce proprio nella ricerca da parte dell’educatore di adeguate circostanze di apprendimento.

Gli studi e gli esperimenti che fece Watson affondano le radici in esperimenti e studi che aveva già condotto un altro studioso del tempo, un grandissimo fisiologo russo, Pavlov.

Pavlov, infatti, che poi fu anche vincitore del premio Nobel per la medicina, stava studiando l’apparato digerente degli animali e avendo a che fare con dei cani notò alcune caratteristiche; infatti quasi casualmente Pavlov scoprì che i cani salivavano non soltanto in presenza del cibo, ma anche quando vedevano l’inserviente che era addetto a portare il cibo e quindi Pavlov,  sospettando che questa coincidenza non fosse poi del tutto accidentale, decise di associare uno stimolo uditivo a questo cibo e cioè il suono di una campanella e vide che i cani, dopo poco avevano appreso questo comportamento, cioè nel momento in cui sentivano la campanella cominciavano a salivare, perché lo stimolo del suono della campanella era associato poi all’arrivo del cibo. E notò anche che, dopo un po’ di tempo, solo il suono della campanella stessa cominciava a farli salivare, quindi anche se non arrivava cibo i cani associavano il suono della campanella all’arrivo del cibo e cominciavano a salivare a prescindere dall’arrivo del cibo stesso.

Con questo concluse che nell’apprendimento si poteva in qualche modo condizionare il comportamento dell’animale attraverso uno stimolo.

Watson quindi decise di prendere questi esperimenti che aveva fatto Pavlov e provare a portarli sull’uomo, perché partiva dal presupposto che tutti i comportamenti umani o perlomeno la maggior parte di essi erano riconducibili ad un apprendimento basato sul condizionamento e quindi gli sembrò una buona idea quella di provare a sperimentare, più o meno quello che aveva fatto Pavlov, però sugli esseri umani.

Così insieme ad una sua collaboratrice decise di recarsi in un orfanotrofio e di adottare un bambino di circa 8 mesi e provare a fare degli esperimenti proprio su di lui. Esperimenti che poi furono molto criticati e controversi:

il famosissimo esperimento del piccolo Albert, un bambino già un abbandonato a sé stesso e lontano dalle cure umane e dal calore umano perché era il figlio di una nutrice dell’orfanotrofio e appariva comunque come un bambino sano e addirittura gli fu raccontato che aveva pianto una volta sola.

L’esperimento era diviso in più fasi: nella prima fase Watson voleva cercare di capire quali erano quegli stimoli esterni che potevano suscitare una reazione di paura nel bambino e quindi in una fase iniziale sottopose questo bambino a una serie di stimoli proprio per capire di cosa avesse paura e di cosa non avesse paura.

Watson si rese presto conto che il bambino non aveva paura praticamente di nulla, se non della presenza di rumori molto forti e molto invadenti che in qualche modo gli mettevano timore, lo disturbavano e si trattava comunque di una caratteristica comune un po’ a tutti i bambini. Vide anche che né il fuoco né la presenza di animali lo disturbavano o lo impaurivano.

La fase successiva dell’esperimento consisteva proprio nell’indurre, nel condizionare il bambino ad avere paura: inizialmente quindi Watson mostrò al neonato un ratto bianco con il quale il bambino avrebbe voluto giocare, tuttavia però ogni volta che il bambino si avvicinava, in qualche modo voleva giocare con questo animale veniva prodotto un rumore fortissimo, talmente forte che spaventava il bambino. Ovviamente la conseguenza fu che dopo una serie molto lunga di questi rumori forti ogni volta che il bambino si avvicinava e voleva giocare con il ratto il bambino cominciò ad avere paura del ratto. In seguito poi l’esperimento proseguì con il bambino che veniva sottoposto allo stesso trattamento in presenza di altri animali e anche a pezzi di pelliccia e la reazione fu sempre la stessa.

 

In pratica ormai il bambino era condizionato ad avere paura, terrore di queste creature. Albert fu sottoposto a queste prove per tantissimo tempo, addirittura un anno. Alla fine di questo esperimento si notò che il bambino, che inizialmente era buono, tranquillo e non aveva particolari problematiche, soffriva di stati d’ansia perenne, era sempre nervoso e sempre molto agitato e addirittura fu terrorizzato da una maschera di babbo natale con la barba che fu costretto a toccare e scoppiò in un pianto irrefrenabile, disperato proprio dopo aver toccato questa barba. Alla fine Watson fu espulso dall’università per la crudeltà di questo esperimento che rimase comunque uno degli esperimenti più famosi della storia della psicologia.

L’ultima fase di questo esperimento sarebbe dovuta consistere nell’annullare il condizionamento e quindi in qualche modo decondizionare il bambino ad avere paura in queste situazioni.

Questa seconda fase però non fu mai realizzata e quindi di questo bambino non si seppe più nulla almeno fino al sesto anno di vita, quando si venne a sapere che morì per una malattia congenita.

Dopo questo esperimento Watson trasse le sue conclusioni e fece un discorso che rimase molto famoso, nel quale disse, parole sue, che se avesse avuto a disposizione dei bambini sani e normali sarebbe stato in grado, in un ambiente adeguato, di poterli programmare a diventare quello che lui avrebbe voluto per loro.

Quindi disse proprio: datemi una dozzina di questi bambini e io, nell’ambiente adeguato e potendo fare degli esperimenti per diverso tempo, posso trasformarli e farli diventare dei medici, dei dottori, degli avvocati o addirittura dei mendicanti e dei ladri, proprio perché li condiziono a farli diventare quello che voglio io, questo a prescindere dai loro talenti, dalle loro inclinazioni, dalle loro attitudini e dalle loro propensioni.

L’unica cosa che chiedeva Watson era quella di poter agire come lui voleva, senza intromissioni da parte di nessuno; un simile discorso era proprio teso a sottolineare quanto è importante per Watson l’aspetto educativo, quanto era importante la figura dell’educatore, che attraverso il condizionamento poteva influire talmente tanto sullo sviluppo mentale e sull’apprendimento del bambino, trasformandolo e facendolo crescere in un determinato modo piuttosto che in un altro; questo a prescindere ovviamente da quelle che sono tutte le predisposizioni innate del bambino.

L’apprendimento e lo sviluppo quindi del bambino è semplicemente la risposta che ha il bambino in base agli stimoli esterni che percepisce. In questo discorso Watson sottolinea anche quanto sia importante l’educatore per i bambini e quanto un bravo educatore possa trasmettere quegli stimoli giusti per poter far crescere i ragazzi in un contesto felice, farli sentire adeguati e all’altezza del contesto sociale in cui vivono.